FAQ – Domande poste frequentemente sulla psicoterapia narrativo-ermeneutica
Abbiamo cercato di immaginare quali sono le domande che vi potreste porre sulla psicoterapia narrativo-ermeneutico, e alle quali potreste non aver trovato una risposta nelle altre pagine del nostro orientamento. Se avete altre domande da porre potete utilizzare il modulo di richiesta sulla destra. Saremo lieti di rispondervi e di aggiungerle al nostro elenco.
Che cos’è il costruttivismo?
Il costruttivismo psicologico accomuna diverse teorie e diversi approcci psicoterapeutici che condividono la concezione costruttivista della conoscenza.
Nel cognitivismo la conoscenza viene considerata come rappresentazione più o meno corretta di una realtà data e indipendente da noi. Nel costruttivismo la conoscenza che le persone hanno di sé stesse, degli altri e del mondo viene vista come una costruzione personale, come un’interpretazione del nostro rapporto con un ambiente che non ha una sua struttura definita a priori, ma che l’acquista come risultato del modo in cui la percepiamo, per cui perde di senso l’idea che possa essere corretta o sbagliata. Tutt’al più, può essere ampiamente condivisa da altre persone per certi aspetti , e meno condivisa per altri aspetti.
Quali sono le teorie e le psicoterapie che si possono definire costruttiviste?
La teoria dello sviluppo cognitivo elaborata da Jean Piaget – soprattutto nell’interpretazione che ne ha dato Ernst von Glasersfeld – viene considerata la prima teoria psicologica che si basi su una epistemologia (teoria della conoscenza) costruttivista. La teoria dei costrutti personali di George A. Kelly è invece la prima teoria costruttivista della personalità e la prima psicoterapia costruttivista.
Vengono spesso accostati al costruttivismo per significative affinità epistemologiche il costruzionismo sociale, l’interazionismo simbolico, alcune terapie sistemico-relazionali e gli approcci narrativi, con le loro rispettive applicazioni alla psicoterapia.
Che cosa comporta per la psicoterapia l’adozione di una concezione costruttivista della conoscenza?
Una “rivoluzione copernicana”. Molto sinteticamente, lo psicoterapeuta costruttivista cerca di comprendere il punto di vista del cliente anziché incasellarlo in categorie diagnostiche; considera legittima e rispetta la conoscenza di sé e del mondo del cliente, anziché cercare di correggerla là dove la consideri sbagliata; considera il “disturbo” del cliente non come una malattia, ma come l’espressione del modo migliore che il cliente ha trovato per mantenere un adattamento con il suo mondo sociale; si mette in relazione con il cliente non nei panni dell’esperto, ma come un compagno di viaggio nell’esplorazione della sua conoscenza personale, alla ricerca di modi alternativi di vedere sé stesso nel suo rapporto con gli altri.
Che rapporto c’è tra le psicoterapie costruttiviste e le terapie cognitivo-comportamentali?
Anche se alcune psicoterapie costruttiviste derivano storicamente dalla terapia cognitivo-comportamentale (come ad esempio la terapia cognitiva post-razionalista di Guidano), le concezioni della persona, del disturbo, del ruolo del terapeuta, della relazione terapeutica e del processo terapeutico sono tali da collocare i due approcci a 180° l’uno rispetto all’altro. Se quello che cercate è l’apprendimento di un modo di curare i disturbi mentali attraverso l’applicazione di protocolli standardizzati, questa Scuola non fa per voi.
E rispetto alla psicoanalisi?
Parlare di psicoanalisi al singolare è riduttivo. Diciamo che con gli sviluppi psicoanalitici ermeneutici contemporanei che considerano la relazione terapeutica in termini dialettici e con quegli che adottano la metafora della conoscenza come narrazione le affinità sono significative.
Perché questa particolare psicoterapia costruttivista si definisce ermeneutica?
In primo luogo perché dà estrema importanza alla rete di significati di cui si compone la conoscenza personale (e l’ermeneutica è la teoria sull’interpretazione dei significati). In secondo luogo perché la diffusione del costruttivismo in psicologia ha reso necessarie delle differenziazioni tra modi diversi di intendere la conoscenza personale, sia pure all’interno di una concezione genericamente costruttivista. Una di queste distinzioni è quella tra un “costruttivismo epistemologico” e un “costruttivismo ermeneutico”.
Il primo, sul piano ontologico (riguardante la natura della realtà) riconosce l’esistenza di una realtà esterna (“noi e il mondo”) ma, sul piano epistemologico, ritiene che non sia possibile conoscerla, ma solo costruire in modi personali l’esperienza che se ne può avere. Il costruttivismo ermeneutico invece vede la relazione tra conoscente e conosciuto nei termini di una specificazione reciproca, definita in filosofia come “intersoggettività” (noi nel mondo”), che risulta nel superamento della dicotomia soggetto/oggetto, e rappresenta quindi un superamento dell’approccio dualistico e un vero e proprio tertium datur tra realismo e idealismo. La nostra conoscenza di noi stessi e del mondo è una interpretazione dipendente dalla storia della nostra struttura accoppiata con l’ambiente, e pertanto basata sulle nostre precedenti esperienze e inseparabile dal nostro corpo, dal nostro linguaggio e dalla nostra storia sociale.
Su quali teorie si basa la psicoterapia costruttivista ad orientamento narrativo-ermeneutico?
Si basa prevalentemente sulla teoria dei costrutti personali di Kelly, elaborata in modi che ne sottolineano le affinità con la tradizione fenomenologico-ermeneutica in filosofia e con la teoria dell’autopoiesi di Maturana e Varela – una teoria biologica della conoscenza, utilizzata anche in altre psicoterapie costruttiviste, che fa riferimento alla “ontologia dell’osservatore”, cioè al presupposto che la conoscenza della realtà non può essere indipendente dalla struttura “biologica” e “psicologica” di chi la osserva. Non si tratta però di una integrazione di teorie diverse, ma di una elaborazione della teoria di Kelly, la quale è talmente ampia e articolata da aver dato origine ad una vera e propria psicologia.
È necessario studiare la filosofia per diventare uno psicoterapeuta narrativo-ermeneutico?
No, l’importante contributo delle riflessioni filosofiche sullo sviluppo della psicoterapia narrativo-ermeneutica sono già incorporate nella teoria. Solo chi è interessato a contribuire all’elaborazione della teoria può trovare necessario tale studio.
Nel processo formativo, quanto spazio viene dedicato alla teoria e quanto alla pratica?
Nel nostro modo di fare formazione, teoria e pratica sono due facce della stessa medaglia. Nella teoria dei costrutti personali le persone sono viste come degli scienziati, che si muovono nel mondo e si mettono in relazione con altre persone sulla base delle teorie che hanno formulato e che sottopongono continuamente a verifica con il comportamento. Lo stesso vale naturalmente per lo psicoterapeuta, e per lo psicoterapeuta in formazione: a mano a mano che vengono presentati e discussi i vari aspetti della teoria, l’allievo ne fa esperienza con gli altri compagni. Nei primi due anni di corso l’esposizione della teoria e le attività esperienziali vanno di pari passo.
Per quali disturbi è indicata la psicoterapia narrativo-ermeneutica?
Cominciamo con il dire che la psicoterapia costruttivista ermeneutica (PCE) non utilizza i criteri diagnostici del DSM, che sono volti ad incasellare le persone in categorie anziché a comprenderle. La diagnosi nella PCE è volta a costruire con il cliente dei “ponti” che possano permettergli di ricominciare a fare esperienza in quell’area del suo mondo personale in cui ha scelto di interromperla per non andare incontro a guai peggiori (proprio in questo arresto dell’esperienza consiste il “disturbo”). E proprio per l’importanza data alla comprensione e alla possibilità di costruire con il cliente una relazione di collaborazione, si può rispondere che la PCE è indicata per tutti i problemi personali, ma che non tutti gli psicoterapeuti, per le loro caratteristiche personali, possono essere ugualmente in grado di aiutare quella particolare persona.
La psicoterapia narrativo-ermeneutica si rivolge solo al singolo individuo?
No. Può rivolgersi a bambini, adulti e anziani in un setting individuale, ma anche a coppie, a famiglie e a gruppi. Anzi, per l’importanza attribuita alle relazioni sociali nella formazione e nel mantenimento dell’identità personale, la coppia, la famiglia e il gruppo rappresentano “ambienti” ideali per favorire un cambiamento personale.
Lo psicoterapeuta narrativo-ermeneutico fa uso di test?
Può fare uso di test, ma non di quelli “tradizionali” come l’MMPI o il Rorschach. La psicologia dei costrutti personali ha sviluppato delle tecniche che possono favorire l’esplorazione della conoscenza personale, come la griglia di repertorio e l’auto-caratterizzazione. Tuttavia la loro utilizzazione all’interno di un processo terapeutico è a discrezione dello psicoterapeuta, e dipende dal suo stile personale e dall’utilità che può avere in un particolare momento del percorso terapeutico.
Come posso avere maggiori informazioni sui corsi di specializzazione o di formazione in psicoterapia narrativo-ermeneutica?
Puoi partecipare agli open day e ai seminari gratuiti che vengono organizzati periodicamente sia a Firenze che a Padova (e che vengono comunicati tempestivamente sul sito), o anche scrivere una email all’indirizzo cesipc@cesipc.it. Inoltre, puoi utilizzare il modulo presente su questa pagina per porre una specifica domanda non ancora compresa in questo elenco.